Nel lontano 1872, l'America ha fatto qualcosa di senza precedenti proclamando Yellowstone come primo Parco Nazionale del mondo e destinando più di un milione di acri di Natura selvaggia alla finalità di "Parco pubblico", non per pochi privilegiati, ma per il beneficio e il divertimento di tutte le persone. Oggi, dopo quasi 150 anni, grazie a quell'idea visionaria, i Parchi e le aree protette hanno superato il numero di 400, estesi su 18 milioni di acri al fine di preservare per le future generazioni vette di alta montagna, profonde valli, campi di battaglia, celebri monumenti e musei. Ognuno di loro è un laboratorio in cui studiare la storia, la geologia, la botanica o la fauna selvatica. Che siate appassionati di fotografia, di semplici camminate o di attività estreme, in ogni passeggiata nella Natura troverete - come soleva ricordare John Muir - molto più di quanto eravate andati a cercare.
Conoscete le Smokies?
Il primo aggettivo che mi viene alla mente dovendo descriverle è: misteriose.
Sarà per il fumo azzurro che le ricopre come un manto mutevole a seconda dell’ora del giorno e della stagione o per la profondità della foresta e la scarsa luce. Oppure per il suono ovattato dei passi che in una foresta così antica si fanno incerti, guardinghi, rispettosi.
Fuori dai sentieri più battuti, camminando nell’umida ombra, tra querce, pioppi gialli, rododendri e allori di montagna, avvertirete un silenzio primitivo ed inizierete a guardarvi attorno come normalmente non capita di fare. Sentirete l’upupa segnalare
il vostro arrivo agli abitanti del bosco e comincerete a prestare maggiore attenzione
a dove posare il vostro piede. Proverete a non pestare il ramoscello secco che crepiterà, a non spostare la foglia che emetterà un fruscio. Forse, salendo la montagna, vi piacerà immaginare a quanto diversamente vi spostereste nella foresta calzando, come i Cherokee, mocassini in pelle di castoro invece dei vostri scarponcini tecnici scamosciati e idrorepellenti.
In fondo al sentiero v’accoglie uno scroscio e l’acqua rimanda mille bagliori riflessi sul tetto del bosco.
Benvenuti alle Montagne del Fumo Azzurro.
Quando il Grande Spirito creò la Terra decise che ognuna delle cose che aveva fatto avrebbe dovuto durare per sempre.
Ma guardando le sue creature crescere e moltiplicarsi si rese conto che ben presto il mondo sarebbe stato un luogo troppo affollato.
Così diede ad ogni essere vivente un determinato periodo di vita in base alle dimensioni di ognuno. Partendo dagli animali più piccoli e dalle piante continuò a distribuire con parsimonia il tempo loro concesso.
Perciò quando alla fine arrivò alla cosa più grande che aveva creato, la Sequoia gigante, la bisaccia del Tempo era ancora piena per metà, e al Grande Spirito non restò che rovesciarla tutta sulle sequoie.
Questo raccontano le leggende dei Nativi d’America e, a parte la considerazione di quanto romantica sia la motivazione della incredibile età di questi patriarchi vegetali, oggi non sappiamo molto di più su quale ragione permetta alle sequoie di attraversare i millenni con assoluta disinvoltura.
Lungo i piccoli tributari dello Snake River dove le strolaghe scivolano senza rumore, si notano costruzioni di tronchi pressoché perfette. Piramidi alte fino a due metri, formate da un grande numero di tronchi, rami, arbusti e piccoli fuscelli in mirabile equilibrio per formare dighe che ingrossano il ruscello e lo fanno tracimare, almeno così pare, verso precise e studiate direzioni, ora verso un prato digradante, ora verso un boschetto di tenere betulle.
Sono le magnifiche edificazioni dei castori, che devono aver trovato il loro eden in quest’area del parco. E, per chi si intende di natura selvaggia, castori vuol dire alci.
Tra queste due specie animali v’è una sorta di simbiosi o accordo non scritto, o forse scritto, ma da mano sapiente, e così in profondità che non può esser cancellato.
Proprio questo piccolo roditore dalla coda palmata crea artificialmente l’habitat per l’alce, sempre bisognoso di nuovi stagni d’acqua limpida in cui brucare erbe cedevoli appena sommerse.